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Sradicare la povertà estrema e la fame, garantire l'educazione primaria universale, promuovere la parità dei sessi e le autonomie delle donne, ridurre la mortalità infantile, migliorare la salute moderna, combattere l'Aids, la malaria e altre malattie dal grande impatto sociale, garantire la sostenibilità ambientale, sviluppare un partenariato mondiale per lo sviluppo. Sono questi gli "otto obiettivi di sviluppo del millennio" che tutti i 191 paesi membri che nel 2000 costituivano l'Onu si impegnarono a perseguire e raggiungere nel 2015. Per ricordare a quelle stesse nazioni che firmarono quella dichiarazione, otto registi di paesi diversi hanno costruito per ognuno di quegli obiettivi, un piccolo cortometraggio.
Ne è uscito fuori "8", lavoro che continua su quel tracciato di pellicole impegnate e corali che trovano visibilità soprattutto durante i festival (questo è stato presentato alla terza edizione del Festival del film di Roma).
Dare un giudizio di merito su di un lavoro che ha fini divulgativi e non proprio cinematografici, potrebbe sembrare una forzatura, soprattutto se la critica fosse negativa. Ciò non toglie che, fatte le debite premesse di apprezzamento per il tentativo e per le nobili intenzioni, non si possa esprimere quantomeno una valutazione sul se l'obiettivo generale di sensibilizzazione risulti riuscito o meno.
Preso nel suo insieme, "8" non colpisce. Troppa autonomia è stata data ai vari registi/sceneggiatori, si fa fatica a trovare un tono comune sia per quanto riguarda il linguaggio che i contenuti. Se da una parte ci si rifà a Dio come unica fonte di salvezza per combattere un Aids che si può prendere anche se si indossa il preservativo (può essere bucato ci dice il tragico protagonista di uno dei corti), quando si parla di sostenibilità mondiale (il miglior episodio, a firma di Jane Campion) e del problema demografico si polemizza, seppur indirettamente, sull'incapacità di molti popoli di tenere a bada il proprio tasso di natalità (e il preservativo tanto odiato dalla Chiesa sarebbe la più efficace soluzione). In altri casi, o non è ben chiaro il nesso tra la storia raccontata e l'obiettivo per lo sviluppo che dovrebbe essergli legato (su tutti quello di Gael Garcia Bernal, davvero inutile) o il girato sembra materiale di scarto di qualche altro film (Gus Van Sant e le sue trite considerazioni messe su scene tagliate, sembra, di Paranoid Parc) o i troppi vezzi autoriali lo rendono oltremodo lontano da qualsiasi intento comunicativo. Giusto l'episodio in chiusura di Wim Wenders, nella sua particolarità, risulta almeno vicino a quell'obiettivo di sensibilizzazione che si citava prima.
Peccato che sia poco espressa l'importanza della questione.

La frase: "Per ridurre la povertà devi dividere la ricchezza e alla gente non piace dividere la rcchezza".

Andrea D'Addio

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