Achilles to kame (Achilles and the Tortoise)
Dopo "Takeshi’s" e "Glory to the filmmaker!" Kitano chiude la sua trilogia autobiografica portando sul grande schermo la sua terza personalità dopo attore e regista: quella del pittore. Differentemente dai suoi due precedenti lavori, "Achille e la tartaruga" è un film più lineare (si potrebbe dire "una storia" visto che c’eravamo abituati a veri e propri trip mentali di immagini e scene sconnesse): infanzia, gioventù e vecchiaia di un aspirante artista dalle scarse capacità e ispirazione, ma dalla tanta testardaggine. Si parte dal paradosso di Zenone (quello che, grazie ai numeri periodici, "dimostra" come Achille non raggiungerà mai una tartaruga partita davanti a lui) per dare il via ad una lunga storia di ossessione, quella di un uomo che vuole diventare artista perché convinto che sia quella sia la sua strada. I suoi fallimenti, il suo estraniarsi dalla realtà per vivere ogni attimo come possibile "spunto" finendo con il non capire più dove inizia la vita e finisce la tela, ne sono la conseguenza.
Per sottolineare l’autobiograficità del racconto Kitano utilizza solo tele dipinte da lui stesso (che nella realtà distribuisce a sorte tra gli amici con una particolare lotteria) e ricorre, come ormai è suo solito, a caratterizzare il proprio personaggio con l’ incapacità di comunicare con gli altri (a parte la "cecità" di Zatoichi, in quasi tutti gli altri suoi lavori ricorre la "sordità", intesa non come handicap fisico, ma mentale). Le invenzioni narrative, solito elemento di grande creatività per l’ultimo, visionario, Kitano, corrono qui parallele con una ricercata costruzione delle immagini (fotogrammi più che intere scene). Permangono i comici siparietti tipici del regista giapponese, ma emerge anche una forte attenzione per i colori e la disposizione dei volumi rispetto al quasi onnipresente bianco (come una tela) di sottofondo.
Non manca poi il solito rosso (sangue): la morte, anch’essa elemento ricorrente dell’autore, piomba ripetutamente all’interno della vicenda, smorzata continuamente però della propria potenza grazie ai grotteschi modi con cui vi si arriva, quasi che l’inserirla in contesti esagerati ne possa sminuire la tragicità.
Kitano non segue uno schema chiaro nella scrittura di "Achille e la tartaruga". Oltre al discorso dell’ossessione per la grande opera (che forse è solo l’amore sembra suggerirci il finale), sono tanti i fili che lascia sospesi e che chiunque potrebbe tirare trovandoci all’altro capo un concetto di particolare riflessione. Inutile quindi tentare sintetici giudici su ciò che è, e ciò che non è, questo film. La curiosità per un lavoro originale come questo può essere la motivazione comune a tutti per dedicargli una visione, per il resto, ad ognuno trovarvi uno o più elementi di apprezzamento.

La frase: "L’arte è una bufala".

Andrea D’Addio

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