Agua e sal
La regista portoghese Teresa Villaverde, aveva fatto parlare di sé già a Venezia ancor prima della proiezione del suo film, incluso nella sezione "Cinema del presente". L'ex marito, noto cineasta americano, l'aveva infatti accusata di aver utilizzato la figlioletta per realizzare il film, sottraendogliela con l'inganno. Già vincitrice di una coppa Volpi per "Três Irmãos" nel 1994, questa sua ultima fatica, che in Italia arriva solamente adesso, sembra prendere l'avvio da una necessità autobiografica. Il percorso doloroso della protagonista che allontana il marito da sé per lavorare ma soprattutto per riuscire a risolvere intimamente la definitiva separazione da lui, acquista un significato particolare alla luce di quegli avvenimenti veneziani.

Nel villaggio portoghese della costa dove vive, Ana ritrova il proprio ritmo, divisa tra il suo lavoro iconografico e le lunghe e solitarie passeggiate in paese e sulla spiaggia. Il marito è tornato a Milano nella loro casa di città insieme alla figlia. Il desiderio di riflettere e tentare di riprendere le fila della propria vita sembra però frantumarsi, salvando dalle acque uno sconosciuto che si innamora di lei e trovandosi coinvolta nella storia d'amore di due giovani del luogo che la famiglia di lei non lascia incontrare. Ma non è tutto: oltre all'amica spumeggiante e inquieta arriva anche l'amante. Un vortice di incontri di passioni smorzate o accese in un intrecciarsi di personaggi a volte un pò confuso che non sembra andare da nessuna parte.
Personaggi dicevamo, numerosi ma non particolarmente emozionanti quando addirittura banalmente convenzionali, che disvelano un inatteso villaggio costiero in cui curiosamente si sommano sopraffazioni, incesti e persino omicidi e in cui spicca il "risibile" dramma della borghese protagonista, e della sua lotta per l'affidamento della figlioletta.
Una figura severa ed intensa quella di Ana, interpretata da Galatea Ranzi, che non si mescola a nessuno dei drammi o delle passioni che la circondano, sebbene la regia cosi asciutta della Villaverde finisca per ridurla ad una unica ed ansiosa espressione che pur sintetizzando il dolore di ferite che non riescono rimarginarsi da una parte, libera a fatica tutta l'interiorità del personaggio dall'altra.

Valeria Chiari

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