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Bianca come il latte, rossa come il sangue











Gli amanti del buon cinema, inteso come arte di qualità e fatta con "buone intenzioni", negli ultimi tempi hanno tirato un sospiro di sollievo nel constatare che film come "Tre metri sopra il cielo" non erano più in produzione così frequentemente. Ma la quiete non è durata molto: all’orizzonte si vede un nuovo prodotto confezionato a tavolino appositamente per soddisfare le esigente e i gusti di una fetta ben specifica di pubblico, culturalmente molto poco preparata o, peggio, mal preparata.
Il protagonista di questa storia è un sedicenne innamorato di una ragazza che però sembra non notarlo, almeno all’inizio. Leo (Filippo Scicchitano) non sa come conquistare Beatrice (Gaia Weiss) e si rivolge sempre alla sua migliore amica Silvia (Aurora Ruffino) per avere consigli su come muoversi dentro un campo per lui ancora sconosciuto: l’amore. Quando Leo finalmente conosce la sua amata, scopre che lei ha tutt’altro per la testa e che sta soffrendo molto.
L’esperienza tragica di Beatrice lo farà maturare e gli farà aprire gli occhi sulla realtà: l’amore, quello vero, l’ha sempre avuto accanto ma non se ne è mai accorto.
"Bianca come il latte, rossa come il sangue" si presenta come una storia molto semplice all’interno della quale si muovono personaggi stereotipati che hanno in bocca battute piuttosto scontate e che poco hanno da offrire ad un pubblico adulto. Infatti, appare chiaro fin dalle prime scene che si tratta di un film diretto a un target ben definito: spettatori – solo – adolescenti.
Le canzoni dei Modà accompagnano i momenti più intensi della storia e svolgono un po’ il ruolo dei successi di Tiziano Ferro in prodotti come "Ho voglia di te". Il gruppo musicale trova consensi soprattutto tra le ragazze adolescenti e si inserisce perfettamente nell’immaginario che le coinvolge. E proprio come in un film tratto da un romanzo di Federico Moccia, in "Bianca come il latte, rossa come il sangue" non c’è traccia del mondo esterno: crisi economica e finanziaria, immigrazione e fattori sociali pare non esistano nemmeno. I personaggi vivono in una Torino calma e tranquilla, una città che li protegge in tutto e per tutto. C’è solo uno spettro tremendo che annerisce tutta la vicenda: la malattia che blocca una vita giovanissima. Un argomento così delicato e drammatico, che viene probabilmente dal romanzo omonimo che ha ispirato il film, è trattato però in modo superficiale e a volte persino sgradevole.
Anche dal punto di vista tecnico, il film di Giacomo Campiotti lascia un po’ a desiderare: una regia piuttosto semplice, funzionale al racconto, si dimostra insufficiente in alcune sequenze, che non filano correttamente anche a causa di un lavoro poco attento in sede di montaggio. Ma questi sono dati di poco conto se pensiamo al contenuto di un prodotto che viene definito "commedia": di divertente c’è ben poco, considerando che molte gag sono praticamente usurate e straviste, al cinema come in televisione. Il giovanissimo pubblico potrà però godere di alcuni inserti grafici e soluzioni visive efficaci e piacevoli.
In un clima di recitazione non proprio entusiasmante, Flavio Insinna, nei panni del padre di Leo, spicca per presenza scenica; peccato che gli sia toccata la parte della macchietta romanaccia (ennesimo stereotipo tra stereotipi). Persino Luca Argentero, il giovane professore di terza, solitamente un attore piacevole, risulta un po’ scontato e posato a causa della caratterizzazione monodimensionale del personaggio che interpreta.
Il film in questione non è chiaramente un prodotto valido; il dato però più grave è la sua natura di offerta preconfezionata. Insomma, con poca qualità di contenuti e di forma, lo strappo del biglietto è comunque assicurato.

La frase:
"Io non voglio essere uno sfigato come Dante".

a cura di Fabiola Fortuna

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