L'artista
A volte quando semplicità narrativa e genialità artistica riescono a fondersi, i risultati che ne conseguono sono quasi sempre di successo.
Quello che sono riusciti a fare i due giovani registi, Mariano Cohn e Gastón Duprat, con "L’artista", molto si avvicina a questo tipo di atmosfera.
Una storia in apparenza molto asciutta, essenziale, ma che nasconde invece un ironia e una profondità tematica davvero intrigante.
Un personaggio su tutti, quello di Jorge, infermiere specializzato in una casa di riposo, che scopre quanto l’arte possa essere lo strumento più adatto per cambiare vita, riuscendo ad aggirarne agevolmente anche tutti i meccanismi del sistema.
Schizzi e disegni poderosi, forme e volumi affascinanti, una prima mostra, poi altre, ma non è lui l’artista, ma invece un anziano catatonico, che, come in trans, riesce in momenti di ispirazione, a produrre opere di rara bellezza. E lui ne gode il successo.
Approfittando di questa occasione, Jorge, si costruisce una fama internazionale, partecipa a trasmissioni, è invitato ed elogiato dai critici più importanti, ma lui di tutto questo sembra esserne totalmente distaccato, ignaro, perché lui di quel macrocosmo non ne comprende assolutamente nulla.
Un racconto che sembra minare quel mondo dell’arte, così ovattato, così pieno di "falsi miti", che sembra screditarlo, quasi a farne una ferocia, ma divertente, critica e invece c’è qualcosa di più, di più affascinante.
L’obiettivo diretto della pellicola non è questo, bensì quello di accorata e collettiva riflessione, di interrogativo sentito, è lasciare aperte le interpretazioni e le considerazioni più diverse, è colpisce con arguzia.
Un film, che non sembra tale, tanto è avvolto da bellezze di vario genere.
Le inquadrature dei primi piani (volti anche a metà), l’utilizzo della luce naturale e dei colori, la fotografia d’autore, silenziosi intervalli, illuminanti componenti, che permettono di farci assaporare il fascino delle videoinstallazioni o delle performances, la ricercatezza e l’originalità di sceneggiatura, la bravura dei personaggi.
Sergio Pángaro, qui al debutto come attore, e che nella vita è musicista, nella sua, quasi muta, mimica di facciata, è invece estremamente comunicativo e divertente.
E anche la musica di fondo non è del tutto da trascurare: dà vigore alle immagini, crea collegamenti importanti, sa coinvolgere con discrezione.
Capire cosa è veramente arte o quando ci troviamo di fronte ad un’opera geniale, è qualcosa di puramente soggettivo e mutevole, comprendere quanto questo film lo sia, è invece oggettiva realtà.

La frase: "Preferisco che l’opera parli per me".

Andrea Giordano

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