The Green Hornet
Ben tre decenni prima che riscuotesse grande successo quel telefilm degli anni Sessanta interpretato da Bruce Lee e di cui l’enfant terrible di Hollywood Quentin Tarantino ha perfino riciclato il tema musicale nel suo “Kill Bill vol. 1”, il personaggio del Calabrone verde fu protagonista di una trasmissione radiofonica, poi di fumetti e serial televisivi.
Non a caso, sebbene il citato asso del kung fu venga omaggiato attraverso la fugace apparizione di un disegno che lo ritrae, è proprio dal primissimo “The Green Hornet” versione audio che il visionario francese Michel Gondry – autore di “Se mi lasci ti cancello” e “Be kind rewind-Gli acchiappafilm” – prende ispirazione per questa trasposizione cinematografica in 3D che vede il Seth Rogen di “Molto incinta” nei panni di Britt Reid, figlio perdigiorno del più importante e rispettato magnate dei media di Los Angeles. Figlio perdigiorno che, in seguito alla misteriosa morte del padre, stringe un’improbabile amicizia con uno dei più laboriosi ed inventivi impiegati di quest’ultimo, Kato alias Jay Chou, insieme al quale, travestito da eroe che dà il titolo al film ed a bordo della Black beauty, indistruttibile e tecnologicamente avanzata quattroruote, comincia ad andarsene in giro di notte per combattere il crimine, principalmente rappresentato da Benjamin Chudnofsky, boss malavitoso di Los Angeles cui concede anima e corpo il Christoph Waltz di “Bastardi senza gloria”.
Quindi, è impossibile non individuare un certo sottotesto relativo all’incontro di due diverse classi sociali nell’assistere alle avventure del ricco yuppie affiancato dall’orientale di povera estrazione operaia; coppia di cui Gondry racconta la genesi ricorrendo non poco a dosi di sana, indispensabile ironia, tanto da ricordare vagamente sia “Mystery men” di Kinka Usher che “Orgazmo” di Trey Parker.
E soltanto dopo la prima sequenza d’azione si comincia a respirare una certa nostalgica aria da cinecomix anni Ottanta-Novanta, complice il poco ma efficace uso degli effetti digitali, fino ad un’ultima, movimentatissima parte inaspettatamente infarcita di violenza e cattiveria, un po’ come lo fu il “Batman” burtoniano.
Pellicola con la quale, ovviamente, i paragoni terminano qui, in quanto “The Green Hornet”, le cui migliori sequenze sono senza dubbio quelle emozionanti degli inseguimenti automobilistici e delle imprese proto-Jet Li di Kato, rimane un godibile prodotto al di sopra della media che difficilmente lascia individuare al suo interno la particolare mano dell’autore de “L’arte del sogno”; mentre ci spinge anche a chiederci quale importanza abbia il personaggio della segretaria Lenore Case incarnata da Cameron Diaz, che compare occasionalmente senza incidere troppo sull’evoluzione della storia.

La frase: "Tentare è inutile se fallisci sempre".

Francesco Lomuscio

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