L'apetta Giulia e la signora vita
L'apetta Giulia si affaccia alla vita cantando, tutta felice e sospesa nell'aria, non sa che è solo un numero e, in quanto operaia, dovrà passare tutta la vita a lavorare. Di corsa va da mamma ape a chiedere spiegazioni e, soprattutto, a rivendicare il fatto di volere un nome e non essere chiamata con delle cifre come un robot. L'ape regina non ne vuole sapere di chiamarla Giulia e la spedisce di continuo nel suo alveare. Le domande, però, che si fa l'apetta sono tante, troppe, quella più insistente, poi, è proprio di voler sapere cosa sia la "vita". Assediata in continuazione da sua figlia mamma ape decide di raccontare la vita attraverso quella degli uomini, un pò alla volta, ogni giorno, appena il piccolo insetto torna dal lavoro...
Questo il primo film italiano in 3d, diretto da Paolo Modugno. La "Esse&bi" e la "Digitrace" si sono accordate per costituire un equipe tutta italiana, anche se le competenze necessarie non sono molto diffuse nel nostro paese. Basti pensare che in altri territori spendono suon di milioni solo su strumentazioni che sviluppino il software che verrà poi utilizzato nella produzione cinematografica. La produttrice e cosceneggiatrice del film Veronica Salvi, insieme a Paolo Modugno, hanno investito più di due anni della loro vita al progetto impegnando anche artisti come Irene Grandi, la voce dell'apetta Giulia, Raf, nel ruolo di Angelo Matto, Michele Mirabella, l'Angelo del paradiso, e Nino Manfredi che dà la voce al cavallo Bobo... Si apprezza moltissimo il lavoro e la passione che Veronica Salvi e Paolo Modugno hanno messo in questo progetto, ma, purtroppo il risultato finale è uno dei più mediocri che il mondo dell'animazione, al computer naturalmente, ricordi. È impossibile non fare riferimento ai racconti della "Pixar/Disney", essendo quelli che sono rimasti di più nel nostro immaginario collettivo. Sia beninteso, è vero che noi in Italia, siamo penalizzati dal fatto che la 3d non è stata mai apprezzata abbastanza e non abbiamo speso il nostro tempo, e soprattutto i soldi, per svilupparla, ma i film dei nostri cugini americani erano belli e affascinati anche per altri aspetti. Le storie ben articolate, i dialoghi azzeccati, gli inseguimenti mirabolanti, i rapporti fra i vari personaggi, da cui si prendeva lo spunto per raccontare anche temi più grandi come la guerra, e perciò la morte (Z la formica/dreamworks), il distacco, il rapporto con la vecchiaia (i giocattoli abbandonati di Toy Story), il desiderio di una vita migliore (A Bug's Life), il rapporto con la diversità (Shreck).
Qui è tutto sbagliato sembra che per quelli della "Esse&bi" la vita si riconduca in tre o quattro fattori: la nascita, il lavoro, il tempo, la morte. Mostrandoli con degli elementi che non hanno senso: un matto con un cappello pieno di fiori dovrebbe ispirare la fiducia verso la vita; un mondo in una spugna, l'anima delle cose; un neonato che passeggia in mezzo a elefanti e ippopotami e s'imbuca in uno squarcio di luce, la nascita; due bambini uguali vestiti solo in maniera diversa su un isola atemporale, deserta, stanno come la vita e la morte. E tutto quello che c'è in mezzo e dovrebbe essere degno di poter vivere? Ad un bambino di quattro o cinque anni non dovrebbe importare della morte, c'è prima il distacco, la mancanza, la crescita, c'è tempo per pensare alla morte, a farla tua. Insomma questo è un guazzabuglio di pensieri non articolati, inutile e delirante. Penso al povero bimbo che, uscito dalla sala, alza lo sguardo verso la signora longilinea che gli oscura il sole tendendolo per la mano e le chiede: "Ma Mamma, insomma, cos'è sta vita?". E la donna incamminandosi verso la macchina gli risponde; "Lo sai, non c'ho capito niente neanche io".

Marco Massaccesi

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