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Open Grave











Un uomo si risveglia in una fossa comune, senza alcuna memoria di chi sia o di come sia finito là. Viene tirato fuori da una misteriosa donna asiatica che non parla la sua lingua, e incontra altre persone che, come lui, non hanno nessuna memoria di quanto sia accaduto.
Open Grave, per trovare una sintesi estrema, si può definire come “Lost incontra The Walking Dead”, viste alcune somiglianze con entrambe le serie televisive. Anche se la prospettiva è quasi sempre quella del protagonista Jonah, il tema principale è la ricostruzione di quanto accaduto con un mix di lavoro di indagine e di ricordi che arrivano a Jonah sotto forma di flashback. Lo sfondo dell'azione è volutamente selvaggio, lontano dalla tecnologia e dai centri urbani in modo da dare meno indizi possibili su quanto sia effettivamente accaduto ai personaggi del film. Dal poco che si desume dalle prime decine di minuti del film si potrebbe pensare: a un gruppo di vacanzieri colpiti da una catastrofe più grande oppure a una zona di guerra, oppure ancora a una specie di apocalissi zombi. La verità arriva soltanto a pochi minuti dalla fine.
Una pellicola come Open grave si basa sulla capacità del regista di creare la giusta tensione senza di fatto rivelare nulla agli spettatori. In pratica le informazioni devono essere date con il contagocce, ma allo stesso tempo devono nutrire costantemente la curiosità di chi guarda. Sostenere questo difficile equilibrio è tutt'altro che facile, e Open grave non riesce a tenere il ritmo in maniera costante e coerente. Fra l'altro questo film si ricollega a una tradizione di genere stabile e di lungo corso, e cioè al survival horror in cui i personaggi sono tagliati fuori dalla civiltà, costretti a cavarsela da soli e incerti sulle possibilità di sopravvivenza. In questo caso non è mai chiaro se il nemico sia interno o esterno, finché una scadenza ancora più misteriosa non aumenterà ancora di più la confusione del gruppo di smemorati.
Con questo non si vuole dire che Open grave sia un film del tutto non riuscito, ma che forse si sarebbe avvantaggiato di una scrittura più tagliente e di un montaggio più tagliente. Un maggiore lavoro sui personaggi, i cui rapporti appaiono appena abbozzati anche nel momento in cui le nebbie della memoria si diradano. La sequenza finale potrebbe aprire le porte a un sequel basato sullo stesso meccanismo.

La frase:
"E’ incredibile... capisco il latino!".

a cura di Mauro Corso

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