Oxford Murders - Teorema di un delitto
Partendo dall’enunciato di Ludwig Wittgenstein "...su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere...", che rivelava l’impossibilità dell’uomo di arrivare alla verità assoluta verso le cose, il nuovo film di Alex De La Iglesia (conosciuto per "La Comunidad" e "Crimen Perfecto") è un thriller dai connotati fortemente filosofici.

Martin è un promettente studente di Oxford che sogna di incontrare il professore e scrittore Arthur Seldom per proporgli una ricerca di dottorato. L’incontro tra i due non è dei più entusiasmanti, ma quando muore un’anziana signora in circostanze misteriose, lo studente e il professore iniziano ad indagare sull’accaduto...

Ad Alex De La Iglesia qualcuno avrebbe dovuto suggerire che c’è un motivo se i filosofi non indagano sui fatti di sangue. E la causa è anche semplice: si rischierebbe di trasformare ogni volta l’indagine in una inconcludente diatriba tra pensatori che magari trovano pure la "verità assoluta", ma certamente non il colpevole. Questo è ciò che purtroppo avviene nel film "Oxford Murders": un lungo, e a tratti estenuante, dialogo tra due menti che cercano di arrivare ad una verità coinvolgendo nella loro conversazione (e ciò rende il tutto abbastanza grottesco) tutti i personaggi che incontrano, poliziotti e infermieri compresi.
Che il film non intenda percorrere i binari usuali del genere giallo è chiaro fin dalla prima scena: quando i due protagonisti, soli nella casa della vecchia signora, la trovano cadavere e chiamano la polizia, ma al commissario non viene in mente che gli assassini possano essere proprio i due (tranquilli, non vi sto dicendo il finale) e anzi si unisce a loro nella tediosa, quanto improbabile disquisizione su "ciò che si vede e ciò che non si vede". E purtroppo il film segue questa strada narrativa per tutta la sua durata, che appare eccessiva anche questa volta (ma di questi tempi non è una novità). Lunghi dialoghi accompagnano quindi la poca azione del film, tra l’altro confusa quest’ultima tra flashback che somigliano a buchi di trama e un’indagine basata sul peso incorporeo delle parole. Sbadiglio.
Inoltre, a pesare su una sceneggiatura pretestuosa e nulla più, ci si mettono anche gli attori poco in parte e appena accennati nei caratteri generali. Deboli interpretazioni al servizio del “già visto” e “già dato” che non aiutano certo nella difficile immedesimazione con la storia.

Di “Oxford Murders” si può apprezzare il ritmo e qua e là qualche scena ben riuscita (c’è un finto piano sequenza piuttosto interessante), ma alla fine del film si ha la netta sensazione che registi, filosofi e poliziotti, nell’ansia di trovare l’agognata verità, si siano miseramente confusi i ruoli...

La frase: "...Le risposte che aveva ritenuto assurde le interpretò come possibili...".

Diego Altobelli

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