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Millennium - Uomini che Odiano le Donne











La trilogia di romanzi polizieschi "Millennium", ad opera dello scrittore e giornalista svedese Stieg Larsson, fu pubblicata postuma nel 2007 e diventò un caso letterario internazionale. Come spesso accade, ne è stata tratta una trilogia cinematografica nel 2009, ad opera dei registi Niels Arden Oplev e Daniel Alfredson (autori anche di una miniserie televisiva con alcune scene aggiuntive). Il testimone passa ora all’affermato regista americano David Fincher, che propone un remake de "Uomini che odiano le donne", primo episodio della saga.
Lisbeth Salander è un’investigatrice privata della Milton Security e si troverà a risolvere un caso rimasto aperto da quarant’anni; al suo fianco il giornalista Mikael Blomkvist, fondatore della rivista Millennium, incappato in una causa che gli ha rovinato la vita.
Lavorare al caso sarà per i due solo l’inizio di un rapporto d’amicizia e d’amore, durante il quale lo spettatore potrà conoscere le vite, le ombre e le sofferenze di entrambi.
Considerando la lunga durata del film (160 minuti), la regia non ne aiuta certo la scorrevolezza: senz’altro ben fatta, ma di stampo classico, a volte decisamente noiosa. La colonna sonora è costituita da suoni non definiti, avvolgenti, il vero indice di oscurità e drammaticità all’interno della pellicola.
L’interesse di Fincher è rivolto soprattutto alla psicologia dei personaggi, alla scoperta delle motivazioni più profonde che li spingono a compiere determinate azioni e a comportarsi in un certo modo: il thriller, l’indagine, non lo interessano eccessivamente.
Dichiara di aver voluto realizzare qualcosa di totalmente diverso sia dal romanzo che dal primo adattamento, un po’ come fece con "Fight Club", ma in quel caso l’autore non ne fu affatto soddisfatto...
Quello che subito salterà all’occhio dello spettatore che conosce il primo adattamento, sarà la caratterizzazione non riuscita del personaggio di Lisbeth: interpretata da Rooney Mara, non riesce ad apparire dura ed indifferente, bensì tenera e a tratti amorevole.
Sembra quasi che Fincher abbia voluto addolcire la pillola, realizzando per il pubblico un prodotto da un lato trasgressivo ed estremo, dall’altro appetibile e commerciale.
La giovane attrice racconta di aver visto il film svedese prima ancora di sapere che avrebbe avuto la parte, ma una volta iniziato il lavoro sul personaggio, non si è rifatta in nessun modo all’interpretazione di Noomi Rapace, tendendo in conto la sola descrizione su carta della protagonista: comprensibile la voglia di originalità ma opinabile la scelta di ignorare del tutto un lavoro fatto precedentemente (e divinamente riuscito).
Appare inevitabile dunque, il confronto con il film di Oplev: se la particolarità del carattere di Lisbeth è ciò che ne ha fatto un personaggio celebre e fuori dal comune, con la sua visione della vicenda il regista statunitense ci riporta ad un’eroina che sa di commerciale: un personaggio quasi costruito in base all’obbiettivo di piacere ai più.
Un adattamento convenzionale di un romanzo inconsueto e selvaggio: non ci si deve mai aspettare una perfetta trasposizione su schermo di ciò che si trova all’interno di un testo scritto, ma forse questo tentativo si è allontanato troppo dall’anima stessa della storia originale.

La frase:
"Posso chiamarti Lisbeth? Voglio che mi aiuti a prendere un assassino di donne".

a cura di Fabiola Fortuna

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