On Tour
Seni al vento, trucco pesante, boccoli di capelli alla Bee Boop, pelle bianca e spesso ripiegata su se stessa su quegli angoli di corpo in cui i gusti in più vanno a depositarsi se non si hanno preoccupazioni da diete dimagranti. Eccole le artiste del burleque, quelle che giocano con la sensualità iconografica, quella da Victoria's Secrets e del photoshop, per sostituirla con le loro movenze disinibite e giocherellone, con guepièrre e biancheria di pizzo, casalinghe della porta accanto fattesi belle per sé stesse, ancor prima che per i loro mariti. Mathieu Amalric, dopo una non lunga, ma già grandissima carriera d'attore, torna alla regia, il suo primo amore, quello con cui aveva iniziato a fare cinema prima che l'amico Desplechin gli chiedesse di interpretare un ruolo in "La sentinella" (1992). Logicamente tiene per sé anche il ruolo del protagonista, e quindi eccolo manager di un gruppo di artiste americane in tournée (da qui il titolo) per la Francia riempiendo teatri e locali di provincia. Il ritorno nel vecchio contenente dopo anni passati dall'altra parte dell'Atlantico è per lui l'occasione per rivedere figli e vecchie conoscenze. Purtroppo però non tutti sembrano così contenti di reincontrarlo.
Solitudine, irrequietezza, incapacità di investire sugli altri, sui rapporti personali, lasciarsi andare e vivere. Da una parte un uomo che non trova il suo posto nel mondo, dall'altro un gruppo di ragazze lontane da casa, infelici per i continui spostamenti che gli impediscono di avere affetti radicati in qualcuno, o almeno da qualche parte. Amalric fotografa tutto questo con abilità. Le esibizioni delle donne rubano l'occhio, viene voglia di andare a teatro a vederle. La scena del mancato bacio alla pompa di benzina è bellissima per costruzione registica, silenzi, sguardi, complicità.
Manca purtroppo però una storia che tenga fino alla fine, un "la" che dia inizio ad un qualcosa che sembra venire sempre rimandato. Non si entra mai nel vivo della vicenda, si rimane spettatori anche dietro al sipario, anche quando la macchina da presa rimane attaccata ai suoi personaggi per cercare di raccontarci chi, cosa, dove. Forse è voluto, così lascia intuire il fotogramma-grido finale, ciò non toglie che le due ore, così facendo, non siano proprio un'emozione dietro l'altra. C'è talento nell'Amalric regista, ancor di più in quello da attore. Manca purtroppo la sceneggiatura.

La frase: "Che i giochi inizino".

Andrea D'Addio

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