Vogliamo anche le rose
“Vogliamo anche le rose” è il bel titolo del terzo documentario realizzato da Alina Marazzi.
Se nel primo “Un’ora sola ti vorrei” la regista milanese ricostruiva la figura di sua madre, nel secondo, “Per sempre”, indagava una realtà molto particolare, le ragioni che spingono alcune donne a farsi suore, ora il suo sguardo si allarga a tutta la società italiana, ripercorrendo la storia del movimento femminista italiano tra gli anni ’60 e ’70.
Il suo, però, non è uno sguardo “documentaristico” sulla vicenda.
Utilizzando immagini di repertorio, infatti, ripercorre quelle vicende attraverso tre storie molto particolari, molto intime che tre donne hanno raccontato nei propri diari.
E’ nella scelta di queste tre storie che si definisce la cifra stilistica del film, non è il loro impegno nella causa femminista a venire fuori dal racconto ma tre momenti molto difficili della propria esistenza.
Anita, ragazza milanese di buona famiglia, si scopre incapace di un rapporto normale con la propria sessualità a causa dell’educazione impartitale dalla famiglia.
Teresa, scopertasi incinta, decide di abortire e deve subire il trauma di un aborto clandestino, consumato in una stanza anonima, su di un lettino gelido, da un ginecologo sconosciuto.
Infine la storia di Valentina disillusa dal movimento e dall’amore.
Se la scelta di narrare tutto in prima persona, come se fossero le protagoniste stesse a leggere i propri diari, rende il racconto più coinvolgente e toccante, tende però a estraniarlo dal contesto sociale.
Non c’è mai il vero coinvolgimento politico o militante, non c’è la gioia della lotta, la felicità per le conquiste raggiunte, soprattutto non si percepisce la solidarietà tra le donne, anzi quando si parla del gruppo si tende a catalogare i tipi: la casalinga, la politicante, la passionaria, la clitoridea, la vaginale, sempre con accezione negativa.
Tutto il film è pervaso di un profondo senso di tristezza e amarezza, le leggi varate sono riportate solo sui titoli di coda come se fossero un spoglio resoconto.
Eppure l’inizio del film, più generalista, è caratterizzato da una forte ironia, da un collage divertente tra immagini di repertorio e cartoon, più allegro, più scanzonato ma non per questo meno profondo.

La frase: "E vissero lunghi anni in una felicità difficile da descrivere".

Elisa Giulidori

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